Ad oggi, la maggioranza degli indonesiani vive in una situazione di diglossia tra lingua nazionale e lingue regionali.
L’Indonesia è un paese interamente insulare con migliaia di isole di variegata orografia: posizionate su entrambi i lati della linea di Wallace, esse sono distribuite su ben tre fusi orari. È una delle zone più etnicamente diversificata al mondo, con 710 lingue regionali e centinaia di gruppi etnici (Sneddon 2003: 121-125).
Le suddette lingue erano utilizzate per produrre testi scritti prima della scelta della Bahasa Indonesia come lingua nazionale proclamata solennemente tale anche dalla costituzione nel 1945 (Pasal 36 Bahasa Negara ialah Bahasa Indonesia, i.e. art.36 “La Lingua Nazionale è l’indonesiano”).
Fu una decisione di carattere endoglottico, poiché il malese, di cui la Bahasa Indonesia è una variante, era una lingua già presente sul territorio e diffusamente impiegata per diversi secoli come lingua veicolare nei porti e nel commercio, pur non essendo la lingua madre di un’etnia più potente, ricca o maggioritaria. Ad oggi, la maggioranza degli indonesiani vive in una situazione di diglossia, tra una varietà alta e una bassa della lingua nazionale e tra la lingua nazionale e le lingue regionali (bahasa daerah).
La Bahasa Indonesia è per la maggior parte degli indonesiani una seconda lingua, impiegata nell’istruzione e nei mass media, ed è di conseguenza sentita come espressione di modernità. La lingua regionale, bahasa daerah, è la lingua madre, che veicola valori culturali tradizionali e per questo va preservata (Sneddon 2003: 519-549).
“Quindi troviamo questo duplice lealismo linguistico, che sembra contenere una insanabile contraddizione: ognuna delle due lingue è infatti sentita come espressione della propria cultura da ogni indonesiano, e si tratta di due culture di tipo assolutamente diverso, il che è anche generalmente riconosciuto” (Santa Maria 1984:619).
Il gruppo etnico Batak è uno dei più importanti dell’Indonesia. Tuttavia, nonostante si abbiano indizi che testimoniano la presenza di tale popolazione sull’isola di Sumatra per migliaia di anni, sappiamo ben poco della loro storia nel periodo pre coloniale.
Il termine Batak è utilizzato come iperonimo per identificare un certo numero di gruppi culturali collegati tra loro che occupano prevalentementemil territorio intorno al Lago Toba. Il dizionario malese-inglese di Wilkinson (1901: 74) traduce la parola batak, membatak come “rapinare, depredare, vagare da un posto all’altro come un vagabondo”. Questo termine compare nelle fonti storiche in diverse forme ortografiche sin dal XIII e XIV secolo, e.g. Batta, Batech, Battak, Battac (Parkin 1978: 20), (Perret 2010: 53-56), per designare il complesso di individui che risiedevano nelle zone interne della regione più settentrionale dell’isola di Sumatra. È un termine generico e collettivo impiegato nel corso dei secoli dalla comunità musulmana, insediata principalmente sulle coste nord orientali dell’isola di Sumatra, per identificare un gruppo di popolazioni che avevano resistito all’Islam, avevano continuato a mangiare carne di maiale ed erano di conseguenza considerati selvaggi, incivili e pagani, (Perret 2010: 59).
Marco Polo fu il primo a menzionare l’opposizione tra la minoranza islamica che si era stabilita nelle città costiere e le popolazioni che vivevano in prossimità delle zone di montagna sull’isola di Sumatra chiamati i Battas. Nelle memorie della sua visita sulla costa orientale di Sumatra nel 1292, Marco Polo racconta di aver appreso da fonti secondarie storie di cannibalismo rituale tra queste popolazioni.
Qualche secolo più tardi, nel 1430, Niccolò de” Conti “navigò ad una isola molto grande, detta Sumatra, la quale è quella che appresso gli antichi è detta Taprobana, che circonda duemila miglia: vi si fermò un anno” (Poggio Bracciolini 1841: 241). Niccolò de Conti fu la prima persona a menzionare il luogo Batech, associato nuovamente a una popolazione cannibale:
“In una parte della sopraddetta isola, che chiamano Batech, gli abitatori mangiano carne umana, e stanno in continua guerra con i lor vicini: e gli fu detto che serbano le teste umane per un tesoro; perché preso che hanno l’inimico, gli levano la testa, e mangiata che hanno la carne, adoperano la crepa ovver osso per moneta; e quando vogliono comprare alcuna mercanzia danno due o tre teste all’incontro d’essa mercanzia, secondo il suo valore; e colui che ha più teste in casa viene riputato per il più ricco” (Poggio Bracciolini 1841: 242).
Fonti cinesi dello stesso periodo che descrivevano le popolazioni dell’isola di Sumatra, distinguevano la popolazione con una cultura simile a Giava e Malacca, da quella violenta che però non viveva solo nelle zone interne dell’isola (Perret 2010: 53).
L’antropofagia tra i Batak, salvo talune eccezioni, aveva una funzione legale e svolgeva un importante ruolo sociale come punizione cerimoniale. Gli atti di cannibalismo erano praticati, da un lato, per manifestare il disgusto e l’opposizione di una società nei confronti di alcuni crimini con una punizione ignominiosa, dall’altro, per palesare il senso di vendetta e di oltraggio nei confronti dei nemici, prevalentemente prigionieri di guerra e traditori (Marsden 2005: 218).
L’impressione negativa che si manifesta nelle fonti storiche, era senza dubbio dovuta al fatto che la maggior parte dei resoconti e delle descrizioni della cultura Batak erano redatti da missionari particolarmente sconcertati dalle loro tradizioni indigene. D’altro canto, evidenziare la violenza di queste popolazioni era un modo per poterne legittimare la conquista e la sopraffazione, con lo scopo di mitigare tale aggressività con una nuova coscienza cristiana.
Nel 1784, venne pubblicata la prima monografia dedicata interamente all’isola di Sumatra redatta da William Marsden, il quale acquisì informazioni sul popolo Batak grazie ai residenti inglesi nelle stazioni commerciali, o attraverso fonti olandesi. Nonostante le informazioni raccolte siano secondarie, History of Sumatra descrive numerosi aspetti e caratteristiche dei costumi dei Batak, dagli abiti alle armi, dall’economia alla religione, ovviamente riservando un grande spazio alla descrizione della pratica del cannibalismo. In ogni caso, Marsden è il primo a rifiutare l’omogeneizzazione etnica di queste comunità descrivendo le differenze di lingua, adat (costumi) e credenze tra i diversi gruppi Batak che occupavano i sei distretti in cui era suddiviso il territorio, chiamati Ankola, Padambola, Mandiling, Toba, Selindong e Singkel (Marsden 2005: 205).
Secondo Marsden (2015: 8), la scarsità di informazioni sulla popolazione di Sumatra era dovuta al fatto che “molto raramente gli europei sono penetrati nei quasi impenetrabili boschi di Sumatra a una distanza considerevole dalla costa del mare”, e che “le difficoltà derivano dalla straordinaria diversità delle distinzioni nazionali”.
Tuttavia, John Anderson un dipendente della East India Company durante la metà del XIX secolo, fu la prima persona che utilizzò non solo il termine Batak ma anche il nome dei diversi gruppi culturali “Mandailing o Kataran, Pappak, Tubba, Karau -Karau, Kappak e Alas” (Perret 2010: 60-61).
Oggi, dal punto di vista linguistico e culturale i Batak vengono divisi in tre gruppi principali:
- Il gruppo settentrionale che comprende Karo (K) Pakpak-Dairi (D);
- Il gruppo meridionale composto da Toba (T), Angkola (A) e Mandailing (M);
- Il gruppo “centrale” Simalungun (S) (vedi Eberhard et al. 2019).
Le lingue Batak provengono da un’unica proto lingua (Adelaar 1981) e fanno parte del gruppo linguistico definito da Blust (2013) Barrier Islands, un’area geografica in cui le lingue rivelano un’ampia gamma di variazioni tipologiche che rendono difficili delle generalizzazioni (Blust 2013: 77).
Voorhoeve (1955: 9) e Adelaar (1981: 17) identificano la lingua Simalungun come Timur-Batak (batak orientale), linguisticamente a metà strada tra le lingue Batak settentrionali e meridionali, e risultante da una prima separazione della lingua simalungun dalla proto-lingua meridionale.
Le lingue Angkola e Mandailing sono in rapporto di mutua intelligibilità, ma culturalmente i due gruppi etnici sono nettamente diversi. Adelaar definisce tali lingue come due dialetti separati e considera l’Angkola come un dialetto intermedio tra il Toba a nord e il Mandailing a sud, poiché tutte e tre le lingue derivano dalla stessa proto-lingua.
Oggi i parlanti Angkola e Mandailing tendono a considerarsi come appartenenti a due distinti gruppi etnici, anche se la tendenza prevalente negli studi è di considerarli come un unico gruppo (Kozok 2014: 256).
Stando al censimento del 2010 la popolazione Batak ammonta a circa 8 milioni di persone, di cui 6 milioni risiedono in Indonesia e 2 milioni nel resto del mondo, (in particolare Malesia, Singapore e Paesi Bassi). Il gruppo più numeroso è il Toba, la cui lingua tende ad essere considerata lo “standard” regionale, in quanto è la lingua più usata nell’ambito del sistema scolastico e nel culto protestante, anche in regioni non Toba. Gli altri gruppi etnici sono l’Angkola e Mandailing a sud, i cui insediamenti sono confinanti con i territori di Sumatra meridionale. Il gruppo Pakpak popola le zone a nord-ovest dei territori Toba, e il Simalungun a nord-est dei territori Toba. Il gruppo più a nord è il Karo, stanziato vicino ai confini con Aceh, territorio con autonomia speciale (daerah istimewa) sull’estremità settentrionale dell’isola di Sumatra.
I Batak vivono nella parte più occidentale dell’Indonesia, nella sesta isola più grande del mondo in particolare negli altopiani interni. Tali altopiani fanno parte della catena montuosa Bukit-Barisan, lunga 1700 km, che percorre come una spina dorsale l’intera costa occidentale dell’isola di Sumatra. La dorsale Bukit-Barisan è situata 100 metri al di sopra del livello del mare, ed è costituita in prevalenza da vulcani ricoperti da una fitta giungla e da vallate molto profonde, caratteristiche che hanno reso questi territori inaccessibili per lungo tempo.
Le regioni costiere, invece, sono state per secoli luoghi d’insediamenti di popolazioni malesi che vi fondarono importanti centri commerciali con legami con l’Isola di Giava, l’India, e i paesi del Medio Oriente. In questi luoghi fu fondato il grande regno di Srīwijaya che dal VII al XIII secolo fu il centro culturale dell’Indonesia occidentale. Nel cuore del territorio batak c’è il lago Toba, che, con un’estensione pari a 1130 km², è il sito della più grande esplosione vulcanica del tardo Pleistocene, avvenuta tra 75 000 e 70 000 anni fa.
I diversi gruppi Batak che popolano queste zone hanno molteplici caratteristiche in comune, pur avendo sperimentato esperienze eterogenee con i colonizzatori olandesi, i missionari cristiani e i mercanti arabi musulmani. Tali esperienze hanno enfatizzato le differenze religiose, linguistiche e sociali (adat) già esistenti tra loro. Poco sappiamo della storia delle popolazioni Batak durante il periodo preistorico, se non che si trattasse di gruppi di cacciatori e raccoglitori nomadi alla stregua delle popolazioni site in molte aree del mondo durante il Paleolitico. Tuttavia, prove linguistiche e archeologiche indicano che i parlanti austronesiani abbiano raggiunto Sumatra da Taiwan e dalle Filippine attraverso il Borneo o Giava circa 2.500 anni fa e che i Batak probabilmente siano discendenti da questi coloni (Sibeth 1991:13).
A partire dall’inizio dell’era cristiana queste popolazioni furono fortemente influenzate dalla cultura indiana, poiché l’isola di Sumatra, grazie alla sua posizione strategica, rappresentava un’importante rotta commerciale tra la Cina e il continente indiano. L’induismo penetrò nelle terre batak tra il II e il XV secolo, causando molteplici cambiamenti sociali e diffondendosi in maniera capillare in diversi aspetti culturali e religiosi.
Le ricerche archeologiche condotte finora a Sumatra, hanno fatto luce su tre grandi complessi urbani, che, nel periodo precedente all’islamizzazione dei porti costieri, hanno avuto la funzione di centri per il commercio degli altopiani interni. Questi complessi urbani si trovano ai confini di ciò che è oggi il territorio Batak. A partire dal più antico, sono:
- Il porto di Barus sulla costa occidentale (VIII al XIII secolo);
- Il complesso di tempi buddista di Padang Lawas, risalente all’XI-XIV secolo;
- Il porto della costa orientale di Kota Cina, che fiorì dal XII al XIV secolo (Perret 2014).
Anche se la ricerca archeologica rimane agli albori in quest’area, è possibile concludere che questi siano stati i luoghi attraverso i quali le influenze indiane (in particolare), cinesi, giavanesi penetrarono nei territori batak. Nel corso del XVII secolo, le compagnie commerciali inglesi, e olandesi, fondarono le prime stazioni commerciali sulle coste occidentali dell’isola di Sumatra. Durante questo periodo gli olandesi e gli inglesi si contesero le coste occidentali e settentrionali dell’isola per il commercio dei prodotti naturali locali e stabilirono delle stazioni commerciali a Bengkulu, Barus, Singkel, Tapanuli, Natal e Ayerbangis. In questo periodo, la politica, l’economia, le ideologie, la religione e anche gli individui stessi furono influenzati dai missionari sia cristiani che musulmani e dai coloni che, inevitabilmente, alterarono la società tradizionale.
Già partire dal XIX secolo Van der Tuuk registrava la mancanza di manoscritti batak a Sumatra settentrionale, a causa della missione tedesca[1] che con la diffusione della religione cristiana aveva preteso l’eliminazione di tutti gli oggetti considerati di natura pagana. Nel 1920 la religione cristiana aveva ormai raggiunto anche i territori più interni come Samosir, nonostante una buona parte della popolazione ancora professava la religione tradizionale. La diffusione della religione e il nuovo sistema educativo istaurato dai missionari tedeschi, portarono ad una graduale diminuzione dell’utilizzo dell’aksara batak infatti, l’ultimo libro stampato in aksara batak risale al 1916[2].
[1] La missione Renania fu fondata dalla fusione di missioni minori nel 1828 a Barmen (Ariton- ang, 1994)
[2] Arsenius Lumbantobing, (1916), Porgolatanta: Buku sidjahaon ni anak sikola, Balige (Kozok, 2009)
References:
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Adelaar K.A. & Himmelmann P. N., (eds), (2005), The Austronesian languages of South East Asia and Madagascar, Routledge, London.
Aritonang J.S., (2000), The encounter of the Batak people with Rheinische Mission- Gesellschaft in the field of education (1861-1940), a Historical-Theological Inquiry (Doctoral dissertation).
Bausani A., (1988): “The contribution of Nicolò de Conti (1395-1469) to the knowledge of Indonesia”, in Papers from The III European Colloquium on Malay and Indonesian Studies (Naples, 2-4 June, 1981), Istituto Universitario Orientale, Napoli.
Blust R., (2013), The austronesian languages, Asia-Pacific Linguistics, School of Culture, History and Language, College of Asia and the Pacific, The Australian National University, Canberra.
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Eberhard D. M., Simons G. F., & Fennig C. D., (Eds.),(2019), Ethnologue: Languages of the world (22nd Edition), Dallas, TX: SIL International. https://www.ethnologue.com/subgroups/batak
Kozok U., (2014), “The Angkola-Mandailing script: a historical perspective” in History of Padang Lawas, North Sumatra, II, Societies of Padang Lawas: mid-ninth-thirteenth Century CE, pp. 255-283, Parigi.
Marsden W., (2005), [1784], History of Sumatra, (Ebook Produced by Sue Asscher).
Perret D., (2010), Kolonialisme dan Etnisitas Batak dan Melayu di Sumatra Timur Laut, Kepustakaan Populer Gramedia, Giacarta.
Perret D., (2014), History of Padang Lawas, North Sumatra, II, Societies of Padang Lawas: mid-ninth-thirteenth Century CE, Paris, Association Archipel (Cahier d’Archipel, 43), Parigi.
Poggio Bracciolini G.F., (1841), Relazioni di viaggiatori, Volume 1, Venezia.
Santa Maria, L., (1984), “Il rapporto tra lingua nazionale e lingue locali in Indonesia”, Annali Istituto Orientale di Napoli, 44(4), 607-637.
Sibeth A., (ed), (1991), Living with ancestors, the Batak: Peoples of the Island of Sumatra, Thames and Hudson, New York.
Sneddon J. N., (2003), The Indonesian language: Its history and role in modern society, Sydney, Uiversity of New South Wales, New South Wales.
Sneddon, J. N., (2003), “Diglossia in Indonesian”, in Bijdragen tot de taal-, land-en volkenkunde, 159(4), pp. 519-549, Leida.
Voorhoeve P., (1955), Critical survey of studies on the languages of Sumatra, Martinus Nijhoff, The Hague.
Giusy Monaco is a researcher, language teacher and translator. She has a PhD in Indonesian Studies, with a Philology specialisation, at the Università degli studi di Napoli “L’Orientale”.
She is currently teaching an online Italian language course for the University of Diponegoro, Indonesia.