Con l’espressione Surat Batak si definiscono i sistemi di scrittura utilizzati dai Batak e che si differenziano in base alle lingue Karo, Pakpak-Dairi, Toba, Angkola-Mandailing e Simalungun.

Verso la fine del XVIII secolo, quando i primi ricercatori iniziarono a raccogliere informazioni etnografiche sul territorio batak, si scoprì con non poca sorpresa che questo popolo ritenuto “primitivo” avesse sviluppato un sistema di scrittura ed una letteratura propria.

In History of Sumatra, Marsden mostrò nel 1784 per la prima volta “un esempio delle sue parole [la lingua batak], del suo alfabeto e delle regole con cui il suono delle sue lettere viene modificato e regolato” (Marsden 2005:213). Tuttavia l’autore non risparmia di evidenziare lo stupore tipico dei ricercatori dell’epoca, nello scoprire che anche in “aree del mondo così incivili” le popolazioni locali potessero leggere e scrivere:

“Hanno, come già osservato, una lingua e una scrittura proprie e che possono essere considerate, in termini di originalità, almeno pari a qualsiasi altra dell’isola; e sebbene, come le lingue di Giava, Celebes e delle Filippine, abbia molti termini in comune con il malese (essendo tutti, a mio giudizio, di origine comune), tuttavia, per quanto riguarda l’influenza, sia politica che religiosa, acquisita dai suoi immediati vicini, la lingua Batta sembra aver subito meno cambiamenti di qualsiasi altra[…]. È degno di nota il fatto che la percentuale di persone in grado di leggere e scrivere sia molto maggiore di quella di coloro che non lo sanno fare; una qualifica raramente osservata in parti del mondo così incivili, e non sempre riscontrabile nei paesi più raffinati” (Marsden 2005:213-214).

Fu solo durante la metà del XIX secolo, grazie al lavoro di Herman Neubronner van der Tuuk[1] che ebbe inizio lo studio sistematico della lingua e la letteratura batak. Nel 1847 van der Tuuk fu nominato linguista governativo dalla Società Biblica Olandese (Nederlands Bijbelgenootschap), con lo scopo di studiare le lingue batak per tradurre la Bibbia.

Con l’espressione Surat Batak si definiscono i sistemi di scrittura utilizzati dai Batak e che si differenziano in base alla lingua Karo, Pakpak-Dairi, Toba, Angkola-Mandailing e Simalungun.

Il sistema di scrittura delle lingue batak è un’abugida o alfasillabario. Una scrittura alfa-sillabica utilizza un principio bidimensionale di organizzazione nei suoi grafemi: i principali segni grafici (aksara in sanscrito, termine utilizzato anche in giavanese, balinese e sundanese) sono sillabe ortografiche, con una vocale inerente/a/. Questa vocale inerente può essere modificata o eliminata dai segni diacritici che possono essere posizionati a sinistra, a destra, sopra o sotto il grafema. In base alla lingua esistono tra 19 e 22 aksara, chiamate ina ni surat che letteralmente significa “lettere madri” (vedi Tavola 1), e tra 6 e 8 segni diacritici, chiamate anak ni surat, i.e. “lettere figlie” (vedi Tavola 2).

Il sistema di scrittura Batak

Tavola 1 – Ina ni surat

 

Il sistema di scrittura Batak

Tavola 2 – Anak ni surat

Le vocali /i/ e /u/ in posizione iniziale e in sillaba aperta sono realizzate con un aksara <I> e <U> in toba, pakpak, simalungun e angkola-mandailing, mentre in una sillaba chiusa le vocali /i/ e /u/ sono rappresentate da una combinazione di aksara /a/ <a> e diacritico. In lingua karo si utilizza aksara per /i/ e /u/ e aksara /a/ con il diacritico come modificatore vocalico in posizioni intercambiabili (la si trova sia in posizione iniziale sia in posizione centrale) (Kozok 2009: 118).

Si legge da sinistra a destra e dall’alto al basso, i segni si susseguono in scriptio continua senza segni d’interpunzione ad eccezione di segni decorativi chiamati bindu, i.e. “punto” in sanscrito, che solitamente separano i paragrafi e i capitoli dei testi. Ne esistono diversi, come il bindu na metmet ”il piccolo bindu” (Figure 1), or bindu pinarboras ”il bindu a forma di frutta”, usati come marcatori di paragrafi, e bindu na godang ”il grande bindu” (Figura 2) la cui funzione è quella di suddividere il testo in capitoli (Tuuk 1971: 23-24).

Figure 1 - Bindu na metmet

Figure 1 – Bindu na metmet

 

Figure 2 - Bindu na godang

Figure 2 – Bindu na godang

Storia dei sistemi di scrittura in Indonesia

La scrittura ha sempre avuto un ruolo primario in tutte le civiltà e il passaggio dall’oralità alla scrittura, è stato a lungo percepito come un salto qualitativo, una prerogativa di un potere politico, economico e religioso. L’importanza della scrittura come salto tecnologico irreversibile è stata spiegata da Eco:

“Ad un certo punto gli uomini inventano la scrittura. Possiamo considerare la scrittura come il prolungamento della mano e in questo senso come qualcosa di biologico. Essa é una tecnologia di comunicazione immediatamente legata al corpo. Una volta che l’hai inventata, non puoi più rinunciarvi” (Carrière, Eco 2009:19).

Le motivazioni che nell’antichità indussero gli intellettuali a creare una scrittura, o a rielaborare una scrittura preesistente, non furono quasi mai di ordine letterario. Se per esempio, le pittografie cinesi sembrano aver avuto come funzione primaria quella di supporto mnemonico, e la scrittura logografica aveva una funzione prettamente amministrativa, le scritture vicino orientali sono nate e sono state usate in ambiti commerciali e solo più tardi, hanno assunto un ruolo letterario, in concomitanza con la fissazione dei testi sacri (Mancini 2014: 11-37).

La maggior parte dei testi delle tradizioni indonesiane tratta argomenti storici, letterari o legali, mentre i manoscritti della tradizione batak hanno come temi la divinazione e la magia, i miti, i consigli o i trattamenti medici. Nonostante i Batak avessero un proprio sistema di scrittura differenziato in numerose varianti regionali, essi utilizzavano la scrittura solo per alcuni temi o occasioni particolari. I materiali scrittori generalmente utilizzati erano la corteccia dell’albero alim (Aquilaria malaccensis), il bambù, e gli ossi di bufalo, in particolare le costole o gli ossi della spalla.

Nel contesto indonesiano i manoscritti di corteccia, definiti con il termine di origine sanscrita pustaha, sono particolari per due ragioni principali: la forma e il contenuto. Sono ripiegati sotto forma di concertina, una procedura non molto popolare in Asia (Teygeler 1993:600) e generalmente trattano argomenti legati all’hadatuon, i.e. tutto ciò che era connesso con il lavoro del prete-sciamano (datu).

I manoscritti di bambù invece affrontavano temi legati maggiormente alla vita quotidiana, come lettere d’amore o di minaccia, lamenti funebri, e a volte anche poesie e indovinelli, mentre i manoscritti in osso erano utilizzati con funzione talismanica. La connessione tra una tipologia di scrittura e la storia politica e sociale di un determinato paese, in una specifica epoca, è di indubbia importanza: la diffusione di un particolare tipo di scrittura non è solo una conseguenza automatica dell’espansione politica, ma è dovuta alla mobilità degli scriba, le cui libertà tuttavia, erano sicuramente condizionate dall’austerità dei controlli governativi.

In ogni caso, le tecniche utilizzate per incidere pietre, placche di bronzo, bambù o altri materiali scrittori possono far luce su alcuni aspetti delle tecnologie di un determinato popolo, e, inoltre, lo studio dello stile degli antichi sistemi di scrittura può offrire informazioni rilevanti circa le tendenze culturali delle varie civiltà.

In Indonesia la scrittura è stata utilizzata per almeno quindici secoli, quasi quanto in Europa occidentale, eppure lo studio paleografico sui sistemi di scrittura locali è stato trascurato a lungo. Oggi la maggioranza dei documenti prodotti nell’arcipelago indonesiano sono scritti nell’alfabeto latino, che, introdotto durante il periodo coloniale, ha progressivamente sostituito i sistemi di scrittura locali. Ciononostante, esiste anche una significativa quantità di documenti che continua ad essere prodotta nei sistemi di scrittura regionali. Esistono, inoltre, decine di migliaia di testi prodotti in diversi sistemi di scrittura non più in uso localmente, cosa che dimostra l’estensione della diffusione di tale tecnologia scrittoria.

I sistemi scrittura utilizzati in Indonesia affondano le loro radici nella famiglia di scritture brāhmi, dalla quale poi si sono sviluppati i caratteri dell’India settentrionale (nāgari precedente al sistema devanāgari), e meridionale (pallava) che hanno avuto una notevole diffusione nel sud-est asiatico.

In particolare la genealogia dei sistemi di scrittura nell’arcipelago indonesiano rimanda ad un’unica origine, cioè l’abugida pallava: “Il tipo di alfabeto dell’India meridionale che si è rivelato il più importante e il cui destino nel Sud-Est asiatico è stato così brillante, è anche quello che ha dato i più antichi esemplari conosciuti in quella regione. Si chiama Pallawa dal nome della dinastia indiana Pallawa che sembra averla creata. Si trova, con piccole variazioni, a Fou-nan, Champa, Cambogia, Sounda (Giava occidentale), Giava centrale e orientale, Kalimantan orientale (Borneo), Soumatra (dove si è mantenuto per un periodo più lungo) e nella penisola malese.” (Damais 1955a: 369-70).

La storia, la diffusione e l’evoluzione dell’abugida pallava nell’arcipelago indonesiano può essere divisa in due fasi: il primo pallava, (Early Pallava) precedente al VII secolo, e il tardo pallava (Later Pallava) dal VII secolo fino alla prima metà del VIII secolo.

Le più antiche iscrizioni in Indonesia sono considerate le sette stele in pietra (yūpas) ritrovate a Kutai (Kalimantan occidentale). Sebbene il tipo di scrittura utilizzato non sia stato incontrato al di fuori del Kalimantan, ci sono numerose iscrizioni che presentano delle affinità con l’iscrizione di Kutai.

Nel 1918 J.P. Vogel, nel suo studio dettagliato delle pas mostrò che il sistema di scrittura utilizzato era collegato a delle iscrizioni datate intorno alla metà del IV secolo, prodotte della dinastia Pallava nel sud dell’India, e a delle altre provenienti dal sito Vo-canh in Vietnam e a Anurādhapura in Sri lanka.

Vogel datò l’iscrizione di Vo-cahn intorno al 350, l’iscrizione di Kutai intorno al 400, l’inscrizione Ci-Aruten (trovata a Giava Occidentale) intorno al 450, stilando, così, una prima cronologia dello sviluppo del primo pallava (Early Pallava), un sistema di scrittura il cui scopo primario era quello monumentale.

Appartenente al primo periodo della scrittura pallava è anche l’iscrizione di Re Pūrnavarman ritrovata a Tārumā a Giava occidentale. Le iscrizioni di Kutai e di Tārumā sono inscritte con caratteri pallava in lingua sanscrita, il che rappresenta il primo stadio di adattamento di un sistema di scrittura brāhmi nel sud est asiatico (Daniels&Bright 1996: 446). Tuttavia la forma e le dimensioni dei caratteri pallava utilizzati nell’iscrizione di Tārumā suggeriscono una datazione posteriore rispetto all’iscrizione di Kutai (Casparis 1975:18).

Il tardo pallava (Later Pallava), invece, è utilizzato in differenti iscrizioni del VII secolo e dalla prima metà del VIII. La maggiore differenza tra il tardo pallava e il primo è definita da Casparis come il “principio della stessa altezza”, come se le lettere fossero tenute in posizione tra la base invisibile e le righe superiori, e in questo modo si delimita una chiara linea di demarcazione tra il sistema dei principali segni grafici (aksara) e i simboli diacritici. Questo stile, che implica una separazione delle funzioni dei singoli grafemi, facilita anche la lettura, e questa è una caratteristica che si è successivamente regolarizzata nei diversi sistemi di scrittura di origine indiana utilizzati in Indonesia (Casparis 1975:20-21).

I caratteri del primo pallava sembrano direttamente collegati ai sistemi di scrittura dell’India meridionale del periodo tra il III e il V secolo, mentre i caratteri del tardo pallava mostrano numerosi dettagli e caratteristiche assimilabili al sistema kawi, utilizzato dal VIII secolo circa per trascrivere il giavanese antico. Tuttavia il pallava in questo periodo preserva la sua caratteristica monumentale e dunque contrasta con l’aspetto più tipicamente corsivo del kawi. Alcune iscrizioni in tardo pallava sono state ritrovate anche sull’isola di Giava, tuttavia gli esempi più significativi dell’evoluzione del tardo pallava sono le iscrizioni del regno marittimo di Srīwijaya, in lingua malese antica.

Il regno di Srīwijaya, la cui capitale sorgeva molto probabilmente nell’attuale città di Palembang, a partire dal VII iniziò una straordinaria espansione portando la propria influenza anche nelle Filippine. Il suo potere durò per diversi secoli, così come il suo monopolio per il commercio delle spezie. Srīwijaya fu anche un fiorente centro di studi e di cultura buddista, come testimoniato dal viaggiatore cinese I-Ching, che nel VII secolo soggiornò diversi mesi nel regno per lo studio del sanscrito e del buddismo Mahayana prima di recarsi in India.

Nel sud di Sumatra, sono state ritrovate otto iscrizioni quasi complete e diverse iscrizioni frammentarie, di cui quattro nei dintorni dell’attuale Palembang e in quelle che plausibilmente dovevano essere state le periferie del regno, distanti centinaia di chilometri. Le iscrizioni di Srīwijaya sono particolarmente significative perché rappresentano i primi casi in cui un sistema di scrittura, che fino a quel momento era stato utilizzato per scrivere diverse lingue dell’India, come sanscrito, pali e tamil, iniziò ad essere impiegato per trascrivere una lingua strutturalmente difforme. Ciò rese necessario un processo di rielaborazione e adattamento, e di conseguenza, alcuni segni iniziarono ad essere utilizzati con nuove funzioni. Per esempio il segno anusvāra, rappresentato graficamente da un piccolo cerchio scritto al di sopra dell’aksara, (अं) che originariamente stava a rappresentare la nasalizzazione della vocale, iniziò ad essere utilizzato nel malese antico e in altre lingue dell’Indonesia per esprimere la nasale velare in confine di parola e, talvolta, in confine di sillaba.

Le iscrizioni ritrovate a Palembang (683) (Sumatra meridionale), Jambi (684) e nell’Isola di Bangka (686) (provincia Bangka-Belitung) utilizzano la lingua malese antica in alfabeto pallava e rappresentano le più antiche prove conosciute dell’esistenza di una lingua malese antica e di un tardo pallava completamente sviluppato.

L’ultima iscrizione conosciuta in caratteri pallava e in lingua sanscrita è l’iscrizione di Canggal (Magelang, Giava centrale), datata 732 nella quale troviamo un tipo di scrittura vicino al sistema utilizzato nelle iscrizioni di Srīwijaya (Casparis 1975:27).

Dalla metà del VIII secolo la zona interna dell’isola di Giava iniziò a svilupparsi come centro religioso e politico dell’arcipelago. Si affermò la nuova dinastia degli Shailendra, durante il cui regno anche l’arte raggiunse nuovi modi espressivi con la costruzione del più grande tempio del buddismo Mahayana, il Borobudur. In questi anni l’antico giavanese cominciò ad affermarsi come lingua della corte, sostituendo il sanscrito, e ciò comportò anche un cambiamento nello stile scrittorio: da un sistema “monumentale” tipico del pallava si passa al kawi, considerato poi l’antenato dei differenti sistemi di scrittura dell’arcipelago indonesiano. Venne chiamato kawi per l’associazione con la lingua arcaica della poesia giavanese classica, che dagli studiosi inizialmente fu identificata come una forma antica del giavanese. Tuttavia già dalla metà del XIX secolo divenne chiaro che il kawi, nonostante abbia un vocabolario ricco di parole dell’antico giavanese, è molto differente da esso.

La principale differenza tra il sistema di scrittura kawi e il pallava è proprio nello stile e utilizzo. La scrittura pallava, che si trova in varie regioni dell’arcipelago indonesiano, è chiaramente una scrittura litica usata per scopi monumentali. Il kawi, d’altra parte, è apparentemente un sistema usato per scrivere su foglie di palma (lontar) e mostra, quindi, una mano corsiva, ma “tradotta” in forme appropriate per essere incise sulla pietra. La tecnica di scrittura su lontar inoltre prevede l’uso di uno stilo appuntito, con il quale non è facile disegnare lunghi tratti verticali, a differenza di uno stile rotondo e leggermente inclinato, con cui la scrittura diventa quasi naturale (Casparis 1975:28).

In questa fase si assiste agli sviluppi locali del kawi che subisce delle variazioni non solo negli stili, ma anche nella forma. Suddette variazioni evidenziano l’importanza che la lontananza geografica dalla regione di origine, abbia avuto nel condurre ad una evoluzione del kawi nettamente distaccata da quella dei sistemi di scrittura in India.

La storia del sistema di scrittura kawi può essere suddivisa in due periodi: il periodo del primo kawi (750-925) e del secondo kawi (925-1250). Casparis (1975:29) suddivide ulteriormente il periodo del primo kawi in due fasi:

  • una fase “arcaica” durante la quale le principali caratteristiche del kawi non erano ancora stabili (750-850)
  • una seconda fase “standard” durante la quale abbiamo una standardizzazione del kawi.

Le più antiche iscrizioni in primo kawi sono la stele di Plumpungan (Semarang, Giava centrale) datata circa 750, e l’iscrizione di Dinoyo (Malang, Giava orientale) datata 760 è scritta in kawi ma in lingua sanscrita.

Da un punto di vista stilistico, qui troviamo una mano essenzialmente corsiva, come quella risultante dalla scrittura con una penna o uno stilo su una foglia di palma o altro materiale. Le lettere sono inclinate e gli angoli arrotondati, con una tendenza verso la quadratura degli aksara di medie dimensioni (pa, sa, ma, ka, ecc.) a cui viene data una larghezza uguale alla loro altezza (Casparis 1975:29).

La maggioranza delle iscrizioni di questo periodo sono state ritrovate per lo più a Giava, ad eccezione dell’iscrizione di Ligor, in Tailandia meridionale datata 755, che tuttavia fu commissionata da un regnante di Srīwijaya.

Durante la metà del IX secolo la forma standardizzata del kawi era abbastanza diffusa a Giava da essere utilizzata per registrare concessioni terriere in lingua giavanese antica, pubblicate in grande numero durante i regni di Kayuwangi (856-882) e Balitung (899-910). Entrambi furono regnanti di Mataram nell’isola di Giava e appartenenti alla dinastia Sanjaya (IX-X secolo). Queste iscrizioni presentano una scrittura funzionale, con uno stile semplice e pratico, molto simile tra di loro ad eccezione di variazioni minori dovute a mani differenti, dove la spaziatura inizia a sviluppare regolarità e equilibrio.

Verso la fine di questo periodo tra il 910 e il 929, e in particolare nelle iscrizioni emanate dai tre re successivi a Balitung, la scrittura tende ad avere forme più dritte e spigolose che prefigurano il successivo stile giavanese orientale della scrittura kawi.

Dal 925 al 1250 ebbe inizio la seconda fase del kawi, periodo durante il quale il centro politico e culturale dell’Indonesia orientale fu Giava nonostante il grande regno di Srīwijaya continuasse ad esercitare la sua influenza nella parte occidentale dell’arcipelago. L’antico giavanese, da lingua diplomatica delle istituzioni, divenne progressivamente lingua letteraria e questo comportò un’ evoluzione del kawi.

Da un punto di vista stilistico de Casparis (1975:38) distingue 4 differenti stili del secondo kawi solo a Giava:

  •  Il kawi di Giava orientale dal 910 al 950,
  •  Il kawi di Giava orientale durante il regno di Airlangga (1019-1042),
  •  Il kawi di Giava orientale durante il periodo Kadiri (1100-1220),
  • “Quadrate script” del periodo Kadiri (1050-1220).

La prima fase del tardo kawi è rappresentata da una serie di iscrizioni in pietra del regno di Daksa (910-919), Tulodong (919-921), Wawa (921-929) e diverse iscrizioni di Sindok (929-947). In questo periodo la scrittura è regolare, funzionale ma con alcuni aspetti decorativi.

Le iscrizioni del re Airlangga mostrano un sistema di scrittura maggiormente ornamentale, con un perfetto compromesso tra funzionalità ed estetica, che anticipa le iscrizioni del periodo Kadiri. Gli aksara che prevedono tratti verticali, hanno la loro altezza esattamente uguale alla loro larghezza, ma i tratti sono raramente completamente dritti, il che neutralizza qualsiasi impressione reale di “quadratura” (Casparis 1975:29).

Il re Airlangga è considerato uno dei primi grandi re di Giava, responsabile dell’espansione del suo regno attraverso le alleanze di guerra e di matrimonio. Egli unificò Giava orientale dopo un lungo periodo caotico, e quando decise di abdicare al trono, divise il regno in due aree in favore dei suoi figli: Janggala e Panjalu-Kadiri.

Lo stile delle iscrizioni di questo periodo, che testimoniamo anche il sostegno del re Airlangga alla religione e alle arti, continuò durante il regno Kadiri (1042-1222) che vide un periodo di sviluppo della poesia (kakawin) senza precedenti che evidenzia l’esistenza di una cultura di corte raffinata e sofisticata, e inoltre che l’alfabetizzazione fosse diffusa almeno tra la nobiltà[2].

Oltre alle normali iscrizioni del periodo Kadiri, esistono un piccolo numero di brevi epigrafi che mostrano uno stile ornamentale speciale definito “Kadiri Quadrate Script”, caratterizzato dall’uso di grandi lettere scolpite quadrate e lunghe. Sebbene la maggior parte degli esempi esistenti provengano da Giava[3] e appartengano al periodo di Kadiri, l’inizio di questo sistema risale ad un periodo notevolmente precedente e, inoltre, ci sono esempi che attestano la sua sopravvivenza molto tempo dopo la fine del periodo di Kadiri.

Verso l’inizio del XII secolo il potere di Kadiri iniziò a declinare e fu sostituito nel 1222 dalla dinastia Singosari, il cui massimo splendore venne raggiunto durante il regno di Kertanagara (1268-1292). Quest’ultimo conquistò Bali e, con la sua spedizione contro il regno di Srīwijaya, contribuì al declino di questo grande impero. Tale cambiamento di potere ebbe come conseguenza la formazione di una serie di lacune nelle iscrizioni e nei testi tra il 1205 e il 1264 sull’isola di Giava.

Con la morte di Kartanegara, comincia nel 1294 l’espansionismo del regno di Majapahit. Sotto il ministro Gajah Madah (1331-1364) il regno di Majapahit divenne una grande potenza e arrivò a conquistare l’isola di Bali nel 1343. Con l’inizio del XV secolo il potere e l’influenza economica del regno di Majapahit si sgretolarono rapidamente, mentre la graduale penetrazione dell’Islam e, di conseguenza, del sistema di scrittura arabo, conosciuto in Indonesia come jawi, intervenne a modificare sostanzialmente la storia dell’arcipelago.

Durante il regno di Majapahit, la cui capitale si trovava vicino l’attuale Trowulan, a circa 50 km a sud-ovest di Surabaya, non furono imposti standard culturali nella regione. Al contrario, le relazioni con Majapahit stimolarono lo sviluppo delle culture regionali, inclusi i sistemi di scrittura. Iscrizioni trovate sulle isole di Madura e Sumbawa sono identificabili come varianti del sistema Majapahit, dimostrando l’espansione politica di questa dinastia[4].

 

[1] Egli si stabilì prima a Sibolga nel 1851 dove visse in un ambiente prevalentemente malese mentre studiava principalmente lingua toba, ma anche dairi e mandailing. Nel 1852 si trasferì a Barus sulla costa occidentale dell’isola di Sumatra (Tapanuli Centrale), la cui popolazione locale aveva abbracciato la religione islamica. Nel corso di sei anni fu in grado di raccogliere materiale sufficiente per la pubblicazione di un libro di lettura nel 1860-1862, un dizionario Toba–Olandese nel 1861 e una grammatica del Toba nel 1864-67, ripubblicata nel 1971 in traduzione inglese.

[2] Per esempio, il kakawin Bhāratayuddha, il rifacimento poetico del noto Mahabharata indiano, fu composto durante la corte di Kadiri, iniziato da Sedah e completato da Panuluh nel 1157 (esisteva già dal X secolo una traduzione del Ramayana).

[3] L’utilizzo del “Kadiri Quadrate Script” non è esclusivamente limitato a Giava orientale in quanto alcuni degli esempi più caratteristici provengono da Bali (Casparis 1975: 42).

[4] Il kakawin Nagarakertagama, scoperto nel 1869 a Lombok, è un elogio scritto in giavanese an- tico da Prapanca nel 1365, ed è una fonte di informazioni dettagliate sul regno Majapahit durante la sua massima estensione, con descrizioni di diverse aree di Sumatra, e.g. Jambi, Palembang, Dharmasraya, ma anche Minangkabau, il regno Aru a Sumatra Settentrionale, Mandailing, Barus etc., di Bali, come per esempio l’annessione dell’isola nel regno nel 1342, ma anche Sumbawa, suggerendo che tale fosse l’espansione di questo regno.

 

References:

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